Bitcoin, Sardex e le altre

FOCUS: Quattro strade per far arrivare il denaro all'economia reale
10 Novembre 2016 - 16:07

Continua il racconto di Arianna Lovera, un viaggio nelle strade alternative per riportare il denaro, che i banchieri centrali hanno elargito a piene mani alle banche, nella direzione voluta: l'economia reale.

 

Come detto, i canali di distribuzione del denaro sono parzialmente interrotti. Dalla Bce arriva liquidità alle banche, che poi circola sul mercato finanziario internazionale ma difficilmente arriva a quei soggetti che necessitano di passare attraverso l’intermediazione degli istituti bancari – e in Italia il sistema di finanziamento delle imprese è particolarmente banco-centrico. Gli interventi della BCE volti a immettere liquidità nel sistema economico (quantitative easing) e i tassi negativi sui depositi possono sì facilitare il credito, ma non costringere le banche a utilizzare le risorse a disposizione per concedere prestiti invece che investirle in altro modo, acquistando titoli sui mercati finanziari.

Abbiamo visto che alcune soluzioni a questo problema distributivo rimandano a pratiche di disintermediazione bancaria; altre soluzioni, invece, consistono nella decentralizzazione della creazione monetaria, sottraendo dunque alle Banche Centrali il monopolio di tale operazione. Anzitutto, bisogna fare chiarezza su un punto: a partire dal 1971, con l’abbandono degli accordi di Bretton Woods e della convertibilità astratta, tramite il dollaro, di ogni moneta in oro, di fatto, ha scritto Elena Esposito in  Il futuro dei futures. Il tempo del denaro nella finanza e nella società, “la credibilità del denaro si basa […] esclusivamente sulla credibilità di promesse di pagamento al livello dell’economia nel suo complesso, cioè sulla circolazione di crediti dilazionati”. Pertanto, se esiste un circuito all’interno del quale una certa moneta è accettata, e dunque scambiata, quella moneta non è meno “reale” degli euro o dei dollari immessi nel sistema finanziario dalle Banche centrali.

Un esempio di creazione monetaria decentralizzata è il Bitcoin (“coin” significa appunto “moneta” in inglese). Si tratta di una moneta elettronica lanciata il 31 ottobre 2008 da Satoshi Nakamoto – personaggio la cui identità resta tuttora avvolta nel mistero. La data di nascita del Bitcoin non è casuale: poco prima, il 15 settembre 2008, c’era stato il fallimento di Lehman Brothers e il crollo del sistema finanziario internazionale.

Ma che cos’è di preciso un bitcoin? Una stringa di numeri associata all’indirizzo (pubblico) dell’utente che lo possiede. L’accesso esclusivo alla moneta da parte del suo proprietario è garantito da una chiave accoppiata crittograficamente a quello specifico indirizzo bitcoin. Spendere dei bitcoin, quindi, significa spostare una certa stringa numerica su un registro digitale dall’indirizzo di chi acquista all’indirizzo di chi vende. Per proteggere il valore dei bitcoin da una creazione monetaria eccessiva, Satoshi ha stabilito un numero massimo di stringhe numeriche: non ci potranno mai essere più di 21 milioni di bitcoin in circolazione – il programma prevede la creazione di bitcoin nell’arco di 130 anni.

Per evitare che un utente spenda più volte lo stesso bitcoin, è stata ideata una tecnologia che garantisce l’affidabilità del sistema: la blockchain. Si tratta di un registro virtuale di tutte le transazioni in bitcoin: “ogni volta che qualsiasi cosa viene comprata o venduta usando bitcoin […] la nuova transazione si aggiunge alla blockchain ed è autenticata da una rete di computer”. Si tratta di un registro anonimo poiché gli indirizzi, seppur individuali, non rivelano l’identità dei loro proprietari; inoltre, è un registro estremamente affidabile, la cui validità è verificata dall’insieme dei computer collegati alla rete. Le transazioni non possono essere falsificate a causa dell’enorme potenza di calcolo richiesta per validarle; una volta accettata, la nuova transazione (lo spostamento del bitcoin dall’indirizzo di chi acquista all’indirizzo di chi vende) viene aggiunta al registro (blockchain). Viene così annotata l’informazione che un dato bitcoin non appartiene più all’acquirente bensì al venditore, essendo ora collegato all’indirizzo individuale di quest’ultimo. Per approfondire potete leggere l'articolo di John Lanchester, “L’ultima moneta”, pubblicato da Internazionale (n. 1154 anno 12, 20-26 maggio 2016, pp. 44-57) e ripreso qui.

Alcuni sostenitori di bitcoin ritengono che l’innovazione principale consista nella tecnologia in sé piuttosto che nella sua applicazione monetaria. In effetti, registri virtuali come la blockchain potrebbero rivelarsi molto utili per verificare identità, riscuotere le imposte o erogare servizi (cfr. David Birch, Identity is the new money). Tra le critiche che vengono mosse al sistema monetario dei bitcoin vi è, da un lato, la grande quantità di energia utilizzata dai computer in rete e, dall’altro, la sua “neutralità” rispetto al modello capitalistico. Bitcoin, infatti, non ambisce a supportare la transizione verso una società fondata su valori diversi rispetto a quelli dell’attuale economia globalizzata – a differenza di alcune “monete complementari” .

 

 

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Già, le monete complementari. Di che si tratta? Il principio di base è simile a quello dei bitcoin: decentralizzare la creazione monetaria e dunque consentire a soggetti diversi dalle Banche centrali di mettere in circolazione banconote con validità all’interno di un circuito dato di imprese e/o individui. Si tratta di monete che non sostituiscono quelle nazionali o internazionali (es. il franco svizzero, il dollaro o l’euro) ma che sono appunto “complementari”, in quanto coesistono con e circolano parallelamente alle prime.

Caratteristica essenziale delle monete complementari è il loro essere delimitate

1) nello spazio – vengono riconosciute, accettate e scambiate nell’ambito di un territorio ben definito: città (due esempi di monete municipali sono il Bristol pound (B£) e il SoNantes), regione, e così via;

2) nel tempo – spesso, infatti, la loro validità “scade” a una certa data, oppure perdono valore gradualmente se non vengono spese.

Ciò consente di limitare i processi di tesaurizzazione e di favorire la circolazione della moneta, il cui scopo è incrementare la quota di beni e servizi scambiati all’interno di un determinato territorio. Infine, ad alcune monete complementari sono associati limiti di natura sociale: per esempio, soltanto alcune tipologie di prodotti possono essere ammessi allo scambio, escludendo quelli non in linea con i valori solidaristici ed ecologici in cui si riconoscono le organizzazioni responsabili della creazione monetaria (è il caso, per esempio, dell’Eusko dei Paesi baschi francesi).

Per quanto riguarda la convertibilità, in genere il tasso di cambio è di 1 a 1 con l’euro (o altra valuta corrente): tuttavia, sono spesso in vigore meccanismi che, da un lato, incentivano l’acquisto di monete complementari e, dall’altro, scoraggiano la loro conversione in euro. Ciò consente di evitare operazioni speculative e di rafforzare i legami solidaristici tra le persone fisiche e giuridiche che aderiscono al circuito.

Le monete complementari sono sempre più diffuse: nel 2005 se ne contavano 5.000 su scala globale; il 16 giugno del 2016, presso l'Unione culturale Franco Antonicelli di Torino, Davide Gallo Lassere ha indicato il numero di circa 13000 (nel corso della conferenza Liberarsi dalla moneta unica? La scommessa delle monete alternative e complementari ).  Non a caso si sono moltiplicate negli anni della crisi. Le differenze tra le varie esperienze possono essere rilevanti: maggiore o minore radicalità nella critica al sistema monetario tradizionale (e del modello capitalistico ad esso associato); auto-organizzazione dal basso o iniziativa di amministrazioni pubbliche; diffusione all’interno di reti ristrette (come avviene per il Buono di Uscita Solidale della cooperativa emiliana MAG6), oppure su larga scala. Tuttavia, i limiti fisici, temporali e sociali di cui abbiamo parlato accomunano queste innovazioni monetarie, tutte orientate a favorire la riattivazione degli scambi e delle economie locali.

Una delle esperienze più consolidate è il Wir (“noi” in tedesco). Nato nel 1934 nella Svizzera tedesca per far fronte alle difficoltà di accesso al credito e alla depressione economica, il Wir si configura come una moneta scritturale scambiata secondo un sistema di crediti-debiti reciproci tra le imprese che aderiscono alla rete. Attualmente sono oltre 60.000 le PMI che utilizzano questa moneta per scambiare beni e servizi, con transazioni per un valore annuale complessivo di circa 1,7 miliardi di franchi svizzeri.

Un sistema simile è quello del Sardex, che consiste in una camera di compensazione di crediti e debiti tra aziende. Come specificato sul sito www.sardex.net, “per ciascuna delle imprese iscritte il Circuito sardex.net rappresenta a tutti gli effetti un mercato complementare ed aggiuntivo” che consente di ottimizzare la capacità produttiva, di liberare liquidità e di usufruire di uno strumento di finanziamento e di marketing economico e innovativo. I crediti e i debiti contratti all’interno sono registrati sui conti in Sardex delle imprese aderenti; pertanto, gli scambi non sono subordinati alla disponibilità di euro “liquidi”. Nato nel 2010 in Sardegna, il circuito Sardex ha dato origine a esperienze analoghe in altre regioni della Penisola: per esempio, sono stati lanciati di recente Linx e Piemex, rispettivamente circuito di credito commerciale della Lombardia e del Piemonte.

 

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