La crisi e la fiducia

L'economista Vittorio Pelligra: “Ripartiamo da scuola e famiglia”
19 Settembre 2014 - 16:00

Vittorio Pelligra insegna all'Università di Cagliari Economia delle decisioni e Microeconomia avanzata e studia, tra le altre cose, il ruolo della fiducia nelle dinamiche economiche. Per il Mulino ha pubblicato nel 2007 su questo tema un volume molto interessante e continua a indagare la materia nelle sue ricerche. Il ruolo della fiducia in economia interessa anche Pop Economix, visto che il crollo di fiducia nei mercati finanziari è all'origine di una crisi iniziata nel 2008 e ancora ben viva, almeno in Italia o in Sardegna. E così, in occasione del tour a Sassari di Pop Economix Live Show, abbiamo posto a Vittorio Pelligra alcune domande.

Cosa è la fiducia in economia?

Non è cosa molto diversa da quello che la fiducia rappresenta nella vita di tutti i giorni. Anche perché l'economia deve costruire modelli economici non molto distanti da come ci comportiamo nella realtà. Paradossalmente, la fiducia, pur essendo una componente essenziale della vita sociale, è sempre stata tenuta fuori dai modelli economici, forse anche per la difficoltà di trovare una definizione operativa o anche perché nel mercato la fiducia non serve, visto che ci sono i contratti. È una illusione, su cui però abbiamo costruito i nostri sistemi economici. In realtà, da una trentina di anni, ci si è resi conto che i contratti non bastano, perché non riescono a tener dietro all'imprevedibilità delle azioni umane o delle circostanze. Il ruolo della fiducia è cruciale in questi spazi che restano fuori dal patto contrattuale ed è protagonista delle relazioni umane, delle collaborazioni tra soggetti diversi che caratterizzano gli scambi. Se non mettiamo in queste relazioni un po' di fiducia perdiamo la possibilità di godere dei benefici che queste interazioni possono portarci e otteniamo risultati inefficienti. Il premio Nobel Kenneth Arrow definì la fiducia “un lubrificante del sistema sociale” e dunque dell'economia: il sistema funziona lo stesso senza lubrificante, ma funziona male e alla lunga si inceppa.

Allora è questa la relazione tra crisi economica e fiducia?

Il tema della fiducia è venuto in evidenza proprio in relazione alle crisi. Questo si spiega perché quando le cose vanno bene la fiducia si dà per scontata, un po' come l'aria, ma quando manca capiamo quanto è importante. Per certi versi, prima del 2008 la fiducia sui mercati si era già consumata per effetto dei grandi scandali sui bond degli anni precedenti, ma si è creduto che il mercato si sarebbe regolato da sé, ne avrebbe fatto a meno. Però i dati ci dicono che la sfiducia è contagiosa, si propaga a velocità doppia o quadrupla e ha costi altissimi perché se io vengo truffato perdo fiducia non solo nei confronti del truffatore, ma anche di altre persone di cui, prima della truffa, mi sarei fidato, con conseguente perdita di scambi economici fruttuosi. La fiducia è un bene comune soggetto a erosione molto rapida, se non la coltiviamo.

C'è una relazione tra crisi della fiducia e finanziarizzazione?

Diversi studi mostrano una relazione diretta tra crollo della fiducia ed erosione della fiducia nei mercati finanziari, ma la crisi non si ferma ai mercati finanziari, investe l'intera economia e diventa anche una crisi di senso. Noi siamo arrivati a questo punto riponendo fiducia solo in una ideologia, secondo cui la deregolamentazione avrebbe favorito l'autoregolazione dei mercati. E la fiducia tra le persone o nelle relazioni non era importante. E invece, alla fine, il motore del mercato si è ingrippato...

Quindi per uscire dalla crisi dobbiamo ripartire dalla fiducia?

Sì, ma non è facile, perché la fiducia cresce lentamente e crolla improvvisamente. Anche perché la carenza di fiducia oggi non tocca solo l'economia, ma la politica, la scuola, i rapporti tra le persone. Bisogna sapere che la rinascita di un clima di fiducia passa di generazione in generazione: sono i genitori che insegnano ai figli a fidarsi oppure no. E bisogna tenere presente anche che tanto più è bassa la fiducia nelle istituzioni o nella rete sociale, tantomeno le persone saranno disposte a insegnare ai propri figli a fidarsi. È una spirale che peggiora le cose.

A proposito di scuola e università: quali sono le tue valutazioni come professore a contatto con i giovani su questo tema?

La prima cosa che mi viene da dire è che essere a contatto con i giovani implica una grandissima responsabilità, perché non c'è cosa peggiore per un giovane che incontrare un adulto, peggio un insegnante o un educatore, disilluso, che gli toglie la fiducia nel futuro.

Un secondo aspetto riguarda la rivolta in corso tra i giovani rispetto all'insegnamento dell'economia che contestano: “Questa economia che ci state insegnando non solo ha prodotto danni, ma non ci dà gli strumenti concettuali per capire cosa sta succedendo e capire come uscirne”. In questo senso ci sono stati episodi eclatanti: a Harvard, forse la prima facoltà di economia al mondo, nel 2011 gli studenti di Greg Mankiw gli hanno scritto una lettera in cui contestavano il suo insegnamento e annunciavano uno sciopero delle lezioni.

La Sardegna è per molti versi lo specchio dell'Italia: declino industriale, errori, una crisi che perdura e ora nuove nubi nere all'orizzonte con la messa in mobilità di 1600 lavoratori da parte del vettore aereo Meridiana. Sono tanti anni ormai che la crisi perdura. Ci indichi un elemento su cui investire, in Sardegna e in Italia, per ricostruire la fiducia?

Non voglio dare ricette, ma da economista due sono gli elementi sicuri su cui investire per il futuro: la scuola e la famiglia. È un segnale positivo che il primo giorno di scuola i ministri italiani siano andati nelle scuole; certo poi bisogna essere conseguenti con gli investimenti. Perché la scuola è cruciale per ripartire, così come la famiglia, in particolare la famiglia con figli piccoli.

Infatti il sistema scolastico produce una parte del capitale umano che è il vero motore della crescita: in particolare le competenze, il capitale umano cognitivo e la capacità di fare le cose insieme agli altri. Ma ci sono altre parti del capitale umano: il carattere, la perseveranza, la capacità di sacrificarsi e la di raggiungere un obiettivo… Queste si acquisiscono in famiglia, e in gran parte prima dei sei anni di età. E così a parità di percorso scolastico, chi ha elevati livelli di capitale umano non cognitivo trae dalla scuola benefici molto più alti. Per questo, anche per ragioni di equità sociale, bisogna ridurre le condizioni di disagio che colpiscono alcune famiglie e dobbiamo avere una scuola di qualità, per cui serve un ripensamento forte, rafforzando per esempio la correlazione tra stipendi degli insegnanti e rendimento dei loro allievi.

Questo vale anche per la Sardegna, certo. Perché il mondo sta cambiando: come altrove in Italia abbiamo cercato di allontanare il cambiamento mentre il mondo stava cambiando e abbiamo pagato prezzi folli. Con la scusa della tutela dei posti di lavoro abbiamo sovvenzionato imprese che continuavano a fare debiti con cifre che avrebbero permesso di formare nuovamente i lavoratori davvero in modo eccellente per presentarsi con nuove competenze su un nuovo mercato del lavoro.

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