Se si rompe, riparalo!

Elettronica un po' meno di consumo, grazie a Restart Project
08 Febbraio 2016 - 17:11
Un Restart Party a Londra (photo © Restart Project)

Allungare il ciclo di vita degli oggetti elettrici ed elettronici, imparando a ri-conoscere il loro funzionamento e a ripararli. The Restart Project nasce nel 2012 a Londra con questa missione: let's fix our relationship with electronics, aggiustiamo il nostro rapporto con il mondo dell'elettronica, rendiamolo più sostenibile. Come? Prendendoci cura della manutenzione di frullatori e telefoni cellulari e impugnando un cacciavite per renderli di nuovo utilizzabili, salvandoli così dal cassonetto dei rifiuti. Janet Gunter e Ugo Vallauri ne sono i fondatori e oggi quella che era nata come un'intuizione è diventata un lavoro a tempo pieno. Entrambi accomunati da un passato di lavoro, ricerca e attivismo al Sud dell'equatore in contesti di povertà, si sentivano frustrati al pensiero di quanto varia il valore attribuito agli oggetti hi-tech (e non solo) nelle diverse parti del mondo: “Se noi europei tendiamo a dare per scontata la presenza dell'ultimo modello di smartphone nelle nostre tasche – spiega Ugo – altrove lo stesso dispositivo, anche di qualità inferiore, può offrire concrete opportunità di miglioramento della vita di persone e comunità intere”. Una riflessione che ha reso Janet e Ugo particolarmente sensibili alla manutenzione delle cose. “In Kenya ho scoperto come l'economia della manutenzione e della riparazione sia ancora all'ordine del giorno, a differenza del suo calo a cui abbiamo assistito qui in Occidente” continua Ugo, che nel continente africano ha vissuto quattro anni specializzadosi nel campo delle ICT per lo sviluppo. “Con The Restart Project abbiamo guardato all'innovazione nella direzione Sud-Nord, portando in Europa pratiche che altrove non sono state sacrificate in favore di un consumismo sfrenato”.

 

Restart Party comunitari

Con l'obiettivo di diffondere le abilità della riparazione tra la cittadinanza, The Restart Project promuove l'organizzazione dei Restart Party, veri e propri atelier comunitari e gratuiti in cui le persone portano con sé i propri oggetti rotti per imparare a ripararli con l'aiuto di volontari esperti di elettronica. “Se contiamo anche il pubblico che incontriamo negli eventi a pagamento che creiamo su misura per gli enti pubblici e privati che ce lo chiedono, aggiunto a quello raccolto negli incontri organizzati da altri 3 gruppi attivi in città, ogni anno coinvolgiamo circa 1.500 persone solo qui a Londra” racconta Ugo. Una stima che non comprende gli atelier che si moltiplicano a vista d'occhio fuori dalla metropoli inglese, come si vede da questa mappa. In Italia, il paese più attivo dopo la Gran Bretagna, troviamo gruppi di Restarter (questo il nome dei “riparatori”) a Torino e nelle Langhe, Milano, Padova, Gorizia, Firenze, mentre in altrettante città sono stati promossi eventi spot. Reciprocità e relazione: due parole chiave nel vademecum del riparatore-restarter, che si fa portaparola di conoscenza e che tramite lo scambio dà vita a un circolo virtuoso nel segno della sostenibilità.

 

Un'impronta ecologica virtuosa

Il progetto ha anche un forte impatto ambientale. In totale, dall'inizio delle attività nel 2013 ad oggi, è stato stimato un risparmio di oltre 43 tonnellate di anidride carbonica dovuto alla riduzione degli acquisti e il salvataggio di oltre 2 tonnellate di rifiuti elettronici, riparati durante i Restart Party invece che gettati nelle discariche o riposti nei bauli delle soffitte. Spiega inoltre Ugo che “l'impatto è avvenuto anche in termini di risparmio economico, nel senso che chi ha partecipato agli incontri ha riusato oggetti già in suo possesso, invece che acquistarne di nuovi o di seconda mano. L'attività, nel suo complesso, mira a stimolare le persone a far diventare la riparazione un'abitudine, in modo che entri a pieno regime nell'economia familiare”.

 

Verso un nuovo modello di consumo

Si coltiva un seme di decrescita felice dentro The Restart Project che, nel divulgare l'arte della riparazione, crea una nuova consapevolezza del ciclo di vita degli oggetti che abbiamo in casa e propone un'alternativa a un consumo poco informato di prodotti elettrici ed elettronici. “Io e Janet crediamo fortemente nell'importanza di un consumo ragionato, consapevole, critico – argomenta Ugo - Questo non significa dire di no al mercato e alla crescita in assoluto! Ma piuttosto abbracciare l'idea di una decrescita materiale di prodotti fisici sostituita dall'aumento di servizi di prossimità; servizi che danno lavoro a persone esperte che vivono intorno a noi e che animano un'economia locale ed ecologica, fatta anche di riparatori di professione che reinvestono i soldi ricevuti per sistemare una stampante andando a fare la spesa dai contadini sotto casa”. Tra i modelli di acquisto alternativi e sostenibili a cui Ugo fa riferimento c'è anche quello del mercato dell'usato: “A Londra c'è una jeanseria che ripara gratuitamente i jeans precedentemente venduti ai clienti quando si logorano; mentre una catena di prodotti di seconda mano offre garanzie di 2 anni sugli acquisti. Comprendere servizi di riparazione aiuta a combattere la diffidenza nei confronti dell'usato e del riuso e a diventare davvero competitivi”. 

 

La riparazione nel mondo: qualche link per approfondire

La riparazione comunitaria cresce un po' ovunque in Occidente. Leader della conversazione a livello mondiale è l'associazione statunitense iFixit, che permette un facile accesso a guide gratuite su “come riparare qualsiasi cosa”. Nati in Olanda e diventati presto popolari un po' ovunque sono i Repair Café, vere e proprie officine del riuso, del recupero e della riparazione (ne abbiamo qualcuna anche in Italia!). In sede europea, infine, non si può dimenticare il dibattito sull'economia circolare, che ha aperto le porte a centinaia di iniziative sull'opportunità di offrire una seconda vita agli oggetti. 

Aggiungi un commento

0